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Micotossine: cosa si vede nel suino?

Nell’articolo precedente abbiamo visto come possiamo intervenire per il ridurre il rischio di ingestione di livelli tossici di micotossine nel suino. 

Cosa fare quando si sospetta che il problema ci sia già? Cioè quando si crede che i suini abbiano già ingerito degli alimenti contaminati?

Al fine di intervenire in modo appropriato occorre avere conferma diretta. In altre parole procedere con l’isolamento delle micotossine o dei loro metaboliti, dagli alimenti o dal sangue/urine/feci dei suini o dal latte delle scrofe. 

Sono diversi i metodi analitici impiegati, ma i più diffusi sono l’HPLC (cromatografia liquida ad alta prestazione) e l’ELISA. Quest’ultimo test è molto meno costoso, più semplice e rapido, ma meno sensibile, oltre ad essere inadatto a campioni biologici come il sangue o il latte degli animali di cui si sospetta l’assunzione di micotossine.

Esistono poi dei metodi indiretti, vale a dire si va a misurare un parametro del sangue, o altri tessuti degli animali, che se alterato, indica una probabile esposizione a una determinata micotossina. Questi parametri vengono definiti come biomarker di esposizione alle micotossine. Emblematico è il caso dell’esposizione alla fumonisina B1, che determina una tipica alterazione del rapporto sfinganina/sfingosina (Sa/So) nel sangue ed anche nei tessuti dei suini intossicati.

Nel suino sono particolarmente importanti (diffusi e/o dannosi) i tricoteceni (in particolare il DON e la tossina T2), lo zearalenone, le fumonisine le ocratossine e gli alcaloidi dell’Ergot. Anche l’aflatossina B1 esercita nel suino importanti azioni, seppure meno facili da rilevare clinicamente.

Ma quali segni clinici ci possono indurre a sospettare, tra le altre possibili cause, anche una intossicazione da micotossine o semplicemente la presenza di micotossine negli alimenti, nel caso il suino ne eviti intenzionalmente l’assunzione, come nel caso del deossinivalenolo (DON)?

Tabella 1: Problemi clinici e micotossine

Nella scrofa il metabolismo epatico bioattiva lo zearalenone in α-zearalenolo (α-ZOL) da 4 a 10 volte più attivo dell’estradiolo, e se la scrofa è in lattazione questo composto provoca nei suinetti femmina in sala parto dei tipici segni di iperestrogenismo (vulva gonfia e arrossata), che sono un indizio praticamente inequivocabile di presenza di zearalenone nel mangime delle scrofe.

Gli altri segni clinici riportati in tabella 1 possono essere dovuti a tante altre cause non correlate alla presenza di micotossine negli alimenti. Per questo motivo occorre procedere a delle analisi di laboratorio, come già detto.

Per quanto riguarda i livelli di micotossine negli alimenti destinati agli animali produttori di alimenti per l’uomo (materie prime, mangime), l’UE aggiorna costantemente i livelli massimi consentiti, che sono espressi in mg/kg (ppm) o µg/kg (ppb), tenendo in considerazione soprattutto la salute umana.

In base alle esperienze acquisite sugli effetti negli animali stessi, in particolare in quelli monogastrici come il suino, è però corretto considerare dei limiti precauzionali più bassi.

Tabella 2. Concentrazioni delle micotossine negli alimenti e rischio di tossicità nel suino

1 ppb (µg/kg) = 0,001 ppm (100 ppb = 0,01 mg/kg; 1000 ppb = 0,1 mg/kg)  (Fonte: Dr. Marco Poggiali, presentazione GVS 2011, aggiornata per le fumonisine)

Se hai qualche dubbio che possano esserci nel tuo allevamento alimenti contaminati ed anche che i suini possano averli ingeriti, o sospetti dei veri e propri casi di intossicazione da micotossine, rivolgiti a Maberth per una valutazione della situazione e per consigli pratici sui campionamenti da eseguire. Se il tuo sospetto verrà confermato dalle analisi, ti aiuteremo a risolvere la situazione e ad evitare che si ripresenti in futuro.

Invia subito una mail a info@maberth.it oppure chiamaci 0376-321803